A dividere urbanisticamente Gorla dal resto della città, oltre al naviglio, era il nuovo “Maestoso Stradale Regio” per Monza, il lungo rettifilo che sostituiva l'antica Strada Austriaca della "Postale Veneta" e che lambiva con andamento curvilineo i nuclei di Loreto, Casoretto, le Rottole, Cimiano, Corte Regina, Crescenzago, Cascina Gobba. Fu un’innovazione urbanistica dettata dalle nuove esigenze di espansione della città verso nord che aveva, nel Rondò di Loreto, il punto d’inizio e nella Villa Arciducale di Monza Reale, il punto terminale.
La "Strada Militare per Monza e Lecco", tracciata su progetto dell'ingegnere Donegani nel 1825, fu abbellita per la circostanza da quattro filari di platani che facevano da ornamento e pareti divisorie dello stradone centrale, riservato al movimento delle carrozze, e di due viali interni riservati ai pedoni. “In canestri di vimini eransi disposti i platani, che venivano collocati lungo la via man mano che un tratto fosse terminato: al primo di settembre vi passava l'Imperatore col fastosissimo seguito..... La strada tira, dalla barriera di porta orientale fin a Loreto metri 1735; da quivi alla platea di Sesto metri 5355...” Si trattava dell'unico collegamento di Monza con Milano lungo Porta Nuova, via Melchiorre Gioia, Cassina de’ Pom, Greco, Sesto S. Giovanni, Monza. A Sesto San Giovanni il rettifilo confluiva nella Strada Militare Austriaca proseguendo poi per Lecco e Colico e raggiungendo il Passo dello Spluga e dello Stelvio. "Da Greco in pochi minuti fra praterie e fabbriche di mattoni, giungi a Gorla.. ove ammirerai il ponte obliquo sul Naviglio della Martesana”.
Parlando del Regio Vialone non si può non parlare del caso emblematico della villa del Conte Resta che cercò in tutti i modi di opporsi al progetto concepito dall’allora Governo Austriaco di una strada Regia per Monza. La villa, che s’ergeva a baluardo del borgo di Gorla e del vecchio ponte sul Naviglio Martesana, era denominata originariamente “Villa Boschetto” ed era di proprietà del Marchese Olevano Patrizio Pavese il quale “avendo sposato una figlia al Conte Resta, le diè questa villa in dote.” I due lotti della proprietà Resta - 32 vani a piano terra più quelli al piano superiore (a firma di Carlo Caimi e Carlo Boschetti) - erano allora separati dalla strada comunale. Quando il Conte Resta “vide che vana riusciva ogni opposizione, e che il Governo teneva fermo nel suo proposito dell’espropriazione forzosa, risolvette di fare una protesta energica: aspettò che gli operaj governativi giungessero sulla sua proprietà, e quivi si trovò lui, la moglie, i servi, i suoi contadini, e lottò perché la sua villa fosse rispettata. Invano però, e allora indispettito vendette e se ne andò”. Fu così che, il 23 giugno 1839, nella “penosa liquidazione dei vari compensi da accordarsi ai privati”, il governo austriaco stabilì di vendere la proprietà all‘asta; a ponente la casa civile con rustici annessi, giardinetto e una porzione di brolo con frutteto; l’altra a levante (su Viale Monza) con vista sul naviglio e composta dalla restante parte del brolo con boschetto all’inglese e casino detto dei “fiori o serra”. La questione fu risolta nel 1841. Villa a parte, l’alberatura del vialone che contornava la proprietà Resta allora divisa in due parti fu completata nel 1838.
L’ondata d’immigrazione dei salariati dell’industria molto forte nel primo ventennio del XX secolo anche nel borgo di Gorla aveva indirizzato le nuove costruzioni verso le aree lasciate libere dalle nuove demolizioni: non più le case rivierasche, le case a corte, le cascine, le ville storiche bensì le nuove ed anonime case condominiali e di edilizia popolare.
Sembra inattuale oggi ma sul finire dell’800 questo quartiere era rinomato per le gite fuori città e i sollazzi nelle ville dei nobili e dei ricchi borghesi. Ora le ville non adornano più le sponde “arborate” del quartiere ed il Monastero delle Clarisse fa a fatica ad imporre quel senso di sacralità e di meditazione suggerito dal Monumento ai Piccoli Martiri di Gorla. Il complesso delle ville superstiti, Villa Singer, l’ex Municipio di Gorla, le Casine lungo lungo via Bertelli (Casa dei Cilegi, Villa Cottini) via Tofane, la sagoma inconfondibile del Ponte vecchio (oberato di traffico), il Parco di Villa Finzi non riescono più da soli a sostenere la memoria di quella che veniva definita un tempo la “Piccola Parigi”.
A seguito dell’immigrazione che seguì l’insediamento delle grandi fabbriche di Sesto San Giovanni, Gorla si avviava ad essere un deposito in abbandono di vecchie memorie legate alla storia e alla letteratura del naviglio ma anche un grosso serbatoio di forza lavoro immigrata al carro delle grandi industrie milanesi. Le vecchie abitazioni a corte, le cascine, le botteghe artigianali, demolite o riconvertite a nuovi usi, fungono ora da semplice contenimento della manodopera. Al loro posto sono ora le nuove residenze caratterizzate dalla serialità delle proprie strutture come i nuovi Quartieri di edilizia economica popolare di via Biumi (1953), di via Stamira d'Ancona (1951), il Quartiere I.A.C.P. "Martesana" (1978), le case a schiera di via Dolomiti, di via Liscate, di via Ponte Nuovo, di via Pontevecchio.
La recente opera di restauro della sponda nord del Naviglio verso la Piazza dei Piccoli Martiri di Gorla e il giardino, iniziata nel Marzo 2006 ad opera del Comune di Milano con la supervisione della Sovrintendenza ai beni Ambientali ed Architettonici è stata stimolata da ricerche storiche ed urbanistiche ma non ha prodotto i risultati sperati. Si voleva uno spazio del silenzio ma il traffico anche pesante che vi imperversa ancora oggi ha snaturato di fatto il proposito iniziale che pure emergeva da uno studio “Una Piazza, un Volto” commissionata dall’Associazione Gorla Domani di Milano nel gennaio del 2001.
Una fetta di città è segnata dall’invadenza dei viadotti ferroviari che l’hanno cintata da capo a piedi e della linea della metropolitana. E anche se tutto sembra premere verso la cancellazione del ricordo, il naviglio insiste ancora sul territorio, indomìto ed incurante del cemento che preme da tutte le parti. In sua difesa interviene quella che è stata forse l’unica operazione di recupero del verde in quest’area, un tempo così verde ed oggi così grigia, ovvero l’istituzione del Parco Martesana nel 1978: 20 ettari a cavallo del naviglio. L'area già destinata a verde pubblico secondo la destinazione del Piano Regolatore Generale (P.R.G.) del 1953 vedeva le prime acquisizioni d'area da parte dell'Amministrazione Comunale negli anni '70 in contemporanea con la costruzione di 140 alloggi del quartiere I.A.C.P.M. di via Stamira d'Ancona (a completamento di un insediamento preesistente) e di altri 140 alloggi della Cooperativa di via Alghero. Il progetto che prevedeva anche la realizzazione di una darsena e di un teatro all'aperto decollò solo dopo i lavori di sgombero iniziati nel 1982 ma si fermò subito dopo con la messa a coltura di 1000 alberi, la semina del prato (1983) e la realizzazione dell’anfiteatro all'aperto.
Gorla, oggi, non è solo un’area periferica o una stazione della metropolitana, ma un tassello di vita autentica con protagonisti, vicende, ammaestramenti che provengono da lontano. Il “grande fiume”, così come un nostro protagonista ama ricordare il naviglio, è il filo rosso che tiene unite queste esperienze e che fanno dire sempre ad una nostra amabile protagonista che benché il paesaggio odierno di Gorla sia profondamente mutato “basta talvolta un profumo, uno scorcio di colore, un'immagine” per riportarla indietro nel tempo quando la vita era forse più dura ma i rapporti fra le persone erano sicuramente più veri.
“La costruzione della metropolitana, durata parecchi anni, portò un notevole disagio a Gorla anche se il nucleo principale dell'abitato si trovava tutto dalla parte di via Asiago.”
“Un tempo, come ho già detto, a Gorla ci si conosceva tutti: c’erano i laboratori artigiani e le officine. Ora, con il crescere del tessuto urbanistico e con il modo diverso di vivere, i rapporti personali sono molto difficili ed è quasi impossibile fare nuove conoscenze”.
Cosa dire poi del Naviglio Martesana? “A Milano, dei tre Navigli almeno in parte sopravvissuti all’asfalto, la Martesana è il Naviglio Dimenticato, quello più piccolo e lontano. Per fortuna resta la Martesana. Il percorso, ormai quasi totalmente sotterraneo, è sconosciuto persino alla maggior parte dei Milanesi. Una volta, fino agli anni Trenta, terminava a Brera, in quello che era il più importante attracco di Milano, in via San Marco. Oggi la Martesana – o il Martesana, ma a noi piace pensarla femmina - è una pista ciclabile”.
“Non pochi azzardi edilizi, nel corso di tutto il secolo, hanno contribuito a rendere la zona per nulla armonica, diciamo pure disordinata e assordante. Milano è soprattutto questo, una continua follia di contraddizioni urbanistiche, di grovigli culturali a volte sublimi, altre volte indegni per una metropoli della sua importanza e della sua storia.”
Particolari minimi, dettagli importanti. Resisteranno nella memoria di chi li ha vissuti? Ci dovremo rassegnare a considerarli alla stregua di vecchie fotografie ingiallite che una preoccupata “Cassandra” esibisce ad ammonimento delle generazioni future? Certo è che, almeno “per diritto di sguardo”, tutte queste cose non dovrebbero scomparire nei cassetti della memoria ma essere scritte a caratteri cubitali nel libro dei propositi perché
"Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti."
(Cesare Pavese).
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- Cesare Cantù, Grande Illustrazione del Lombardo Veneto. Milano, 1857.
- “Memorie stese dal parroco locale e pubblicate nella faustissima benedizione e inaugurazione della nuova chiesa parrocchiale”. Milano, Sac. Davide Sesia. Tipografia della Casa Editrice “Osservatore Cattolico”, Milano, 1886.
- Testimonianze di: Metti Erminio, Melzi Ambrogio, Gino & Michele.
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