ASSOCIAZIONE “GORLA DOMANI”. CENTRO DI DOCUMENTAZIONE E INTERPRETAZIONE

1. IL LAVORO


2. PROTAGONISTI E COMPARSE


 

IL LAVORO

 

Milano nel 1872

Nel 1872 Milano aveva ancora un retroterra economico produttivo arretrato fondato, soprattutto, su botteghe artigiane e attività a conduzione famigliare. Le uniche aziende di un certo rilievo erano disperse sul territorio cittadino alla ricerca di manodopera a buon mercato "più docile, più trattabile, più obbediente di quella esistente a Milano... a Milano non vi possono essere bravi operai, perché qui sono troppo distratti; sia per le feste, sia per altri motivi, l'operaio invece di lavorare 300 giorni all'anno lavora soltanto 250 giorni" e di luoghi con buon approvvigionamento idrico. Il modello della Milano industriale era assai lontano dalle città-fabbriche europee.

La periferia industriale

Le industrie più grosse si svilupparono a ridosso della cerchia dei bastioni, in quella corona periferica industriale che da lì a qualche anno avrebbe ricevuto notevole impulso dalle centrali elettriche dell’Adda. Il volano industriale portò con sè la crescita demografica della città e un afflusso migratorio che approdava per la quasi totalità nella fascia degli ex Corpi Santi milanesi. Punto di arrivo dell’immigrazione erano i borghi attestati lungo le vie storiche di penetrazione a ridosso delle porte cittadine. Fra i mestieri sopravvissuti figuravano quelli legati, per varie ragioni all’acqua. L’acqua forniva l’energia necessaria alle officine e ai laboratori artigianali che l’utilizzavano nei processi interni di produzione; quindi, soffierie, distillerie, ma anche lavanderie, tintorie.

Il mestiere del “lavare”

Ancora nel secondo dopoguerra il bucato nelle campagne veniva fatto con la cenere; la biancheria veniva prima bagnata e insaponata quindi immessa entro una tinozza di legno sollevata da terra e con un buco sul fondo al di sotto della quale era posto un piccolo mastello; l'operazione di lisciviatura consisteva nel versare una certa quantità di cenere e acqua bollente sopra uno spesso panno che ricopriva la biancheria nella tinozza. La liscivia, che lentamente colava dentro il mastello, veniva recuperata per lavare capi molto sporchi o colorati; i panni una volta estratti dalla tinozza venivano portati ai lavatoi o ai corsi d'acqua per essere risciacquati. Le diverse azioni di insaponatura, sfregatura e detersione delle macchie necessitavano di un piano rigido su cui operare: asse e cavalletto, parapetto in muratura nella vasca dei lavatoi, un grosso sasso nel caso di un corso d'acqua.

Fare il bucato

Il duro lavoro del lavare rimase fino a non molti decenni fa un atto collettivo strettamente collegato al mondo femminile. Nell'800 alle singole lavandaie che si recavano di casa in casa per fare il bucato si affiancò il lavandaio il quale ritirava la biancheria a domicilio avvalendosi di un carretto piatto trainato da cavalli. Fino a quando l'acqua non fu portata direttamente nelle case la sovrattassa prevista attorno al 1930 per la sua introduzione nelle abitazioni faceva ancora affollare i lavatoi pubblici.

Lavandaie e lavanderie

Fare il bucato significava trovare un luogo dove l'acqua fosse presente in abbondanza; per gli abitanti della città i luoghi deputati erano i canali e le fontane, persino quelle ornamentali (questo avveniva, nonostante i divieti delle autorità). Fin prima del '700 i lavatoi lungo i canali erano pubblici e disponibili a turni ed in uso gratuito oppure riservati a gruppi di famiglie; negli anni '30 a Milano le lavandaie si recavano ancora al naviglio. “Non posso dimenticare di rendere onore alle lavandaie che lavoravano sul Martesana con molto zelo. A queste donne, tra le quali mia madre, va tutto il mio rispetto perchè anche nelle fredde giornate invernali le vedevi curve ed inginocchiate sul " brelin" per ore e ore a sbattere, e torcere su una piastra di granito i panni dei clienti o delle loro famiglie. Io, da bambino, portavo un po' di acqua calda in un secchiello di rame a mia madre, per dare sollievo alle sue mani intirizzite. Per queste brave massaie, andare al naviglio a lavare era una consuetudine come andare ad un appuntamento di fatica ma anche di piacere, perchè tra una saponata e una altra ci scappava anche una bella chiacchierata.” Testimonianza di Vigotti Ambrogio. In Gorla conosciute erano le lavanderie di Mariani Dionigi (nuova costruzione del 1913 composta da lavanderia e rustici), della Cascina Faiperina, della lavanderia del Pirovano situata al “Cantun Frecc” (via Finzi 25).

Il Campo delle “Cento Pertiche”

Gorla, borgo di 61 ettari - 400 abitanti nel 1860, 1000 nel 1880, viveva attorno al naviglio e alle sue rogge, bocche e cavi idraulici; a beneficiarne in primo luogo erano le numerose “Cassine”, “case orti e giardini” del nucleo rivierasco e i campi limitrofi delimitati da muri di recinzione. I contadini coltivavano le terre vicine; di questi campi ve n’era uno chiamato Campo delle Cento Pertiche (212 pertiche – circa 140.000 mq. con 32 gelsi), dove oggi sono i complessi scolastici di via Teocrito e via Asiago, di via Demostene e Via Apelle.

La “grandiosa tintoria” del Sig. Praga

Collegata all’acqua era anche la “grandiosa tintoria del Sig. Praga” di via Jaurès 22 altrimenti detta “Soc. Anonima Tintoria Lorenzo Weiss”, adibita ad opificio per la tintura dei filati di cotone, specializzata nella tintura con il colore rosso. L’impianto del 1875 aveva una stufa a vapore di 10 HP.

Altri stabilimenti “particolari”

Altri stabilimenti di piccole dimensioni costellavano tutta l’area: officine e botteghe i cui processi particolari di lavorazione erano spesso espulsi dal centro città e confinati nei ghetti periferici a contatto con l’acqua come la ditta di Liquori e Aromi “Emans” di via Apelle; i depositi di alcol etilico di via Aristotele; la manifattura italiana (conceria di pelli) di via Asiago 70

Attività diverse

Accanto a queste industrie particolari, una miriade di altre attività popolavano il borgo di Gorla: le officine di lavorazione dei metalli “A. Colombo” (via Finzi 7), la fabbrica Italiana di riflettori “F. Gariboldi” (via Arici 25), la Manifattura “Ausonia” di accessori dattilografici di E. Amorosi e M. Pateracchi (via Chioggia 9), la ditta di saldature elettriche “U.Coralli” (via Finzi 35), il laboratorio di candele e nichelatura (via F.lli Pozzi 7), lo stabilimento di Argenteria F.L.A.M. di Alberto Messulam (via Rovigno 13), lo stabilimento “Peghetti” (via Stefanardo da Vimercate), lo stabilimento “Pompe Klein” (via Nuoro), l’Industria Italiana di Almanacchi di Giulio Bono (via Chioggia 11), la Società “Sabaudo Film” (via Finzi 14-34), lo stabilimento di “Lavezzari Guido” (già “fornitore delle Ferrovie dello Stato e Municipii”) per la trasformazione del legno con segheria elettrica.

Negozi e botteghe

Fra le botteghe vanno annoverate la nuova costruzione del 1912 di Aliprandi Arcangelo (via Tofane 19), la casa d’abitazione già Torrefazione (via Nuoro), il laboratorio “B. Giuseppe Clerici”, le abitazioni (ricavate all’interno di un vecchio convento) dei fabbricanti di scope (via Bertelli), dei fiaccherai e dei cocchieri (via Tofane), le casere di formaggi (via Tofane), il laboratorio “Bianchi” (via Asiago 6), il negozio di cornici “Giuliano Lazzaroni” (via Chioggia), gli uffici e magazzini “Cattaneo” (via Ponte Nuovo).

“Guida della città di Milano e sobborghi”

Un elenco più dettagliato delle attività produttive di Gorla è fornito dalla “Guida della città di Milano e sobborghi” edita da Gaetano Savallo a partire dal 1881 e dalla “Nuova guida della città di Milano e sobborghi” del 1884 e successive edizioni (1908, 1913). Le guide Savallo rappresentano una sorta di Pagine Bianche dell’epoca. La descrizione che danno delle varie attività produttive è accurata e precisa anche se mancano riferimenti topografici diretti con la realtà odierna; le notizie che se ne ricavano sono, però, generose. Gorla era un discreto serbatoio di manodopera a basso costo, soprattutto, un serbatoio fluido di forza lavoro accompagnato da un deciso riuso delle abitazioni a corte e delle cascine.

La “Fabbrica di Cioccolato Lombardi e Macchi”

Fra le ditte selezionate una, in particolare, spiccava per la particolare connotazione che assunse nel passaggio gorlese: la “Fabbrica di Cioccolato Lombardi e Macchi” (1823-1923). “Sul terreno di via Palestrina, sotto la guida del prof. ing. Pinciroli, viene costruito il grandioso stabilimento attuale”(1902). Lo stabilimento fu trasferito a Gorla al Casino dei Torchi, nel 1902 a Greco in Via Palestrina, nel 1922-30 in via Farini 52. Il Sig. Macchi, uomo di azione e larghe vedute, venuto in possesso nel 1843 della fabbrica di cioccolata, trasferì nel 1864 il riparto della cioccolata a Gorla, nella vecchia Cascina Quadri. Nei fabbricati rilevati tra il 1885 ed il 1882, nella proprietà Ramazzotti figurava una filanda per seta costruita nel 1854 e una fabbrica di cioccolata con casa (ex Cascina Quadri). “Oh voi, che sdegnando le torbide acque di Diana, riservato ai salti di testa ed alla esposizione più o meno plastica dei torsi, dei bicipiti e delle pance abbondanti o scarse della nobiltà e della grassa borghesia milanese, cercavate in quelle assai più pure della Martesana, fra Gorla e Crescenzago, un ristoro alla caldura estiva, la ricordate la gran ruota che a poca distanza dal ponte dava vita ad uno stabilimento dal quale emanava quel grato profumo di cioccolata che raddoppiava il vostro appetito?" Purtroppo, nel 1917, a seguito delle limitazioni imposte dalla grande guerra, un decreto luogotenenziale vietò la vendita di dolciumi; pertanto lo stabilimento venne ridotto a pochi operai che ancora lavoravano negli unici reparti ancora in funzione, quelli di cioccolato e frutta. Nel 1921 il Commissario generale degli approvvigionamenti e consumi ripristinò la libera fabbricazione dei dolciumi e così lo stabilimento riprese il lavoro in tutti i reparti. Nel 1922, la Società, a rogito del notaio Comm. Avv. Federico Guasti, rilevò lo stabile in via Carlo Farini 52 e vi costruì il nuovo stabilimento.

Il cioccolato

Il cioccolato veniva lavorato nelle “conche”, grossi recipienti rotondi e poco profondi, dove per ore e ore s’impastava e stirava la massa di cioccolata (una mistura di burro di cacao e polvere di cacao e zucchero) per farle prendere aria ed ossidarsi in modo da esaltare sapore e profumo. Il cacao veniva torrefatto in tostini a sfera, riscaldati a fuoco diretto, e azionati da una manovella. La produzione del cioccolato in Italia era riservata ai droghieri che lo mettevano in commercio sotto forma di tavolette da cuocere ed ai “liquoristi” che lo preparavano per servirlo già pronto, in tazza. Torino e Milano, furono le due città italiane che si dedicarono maggiormente alla produzione del cioccolato.

Il profumo del cioccolato

La fabbrica deliziava, a memoria d’uomo, anche le “numerose coppie che dal viale di Monza svoltavano lungo la strada alzaia per confidarsi più liberamente i palpiti dei loro cuori”. Quando arrivavano a quella ruota “allentavano le mani intrecciate e sospendevano le ardenti dichiarazioni per deliziarsi di quel profumo! Perfino i cavalli delle barche che risalivano il Naviglio, quando vi passavano davanti, spalancavano le floge e davano in un allegro nitrito, come nei loro bei giorni davanti ad una prateria in fiore!"

La Centrale idrica di Gorla

Collegata all’acqua era anche la Centrale idrica “Gorla” di via Aristotele 28: un impianto di media potenzialità situato nel settore nord-orientale della città. L’impianto, entrato in funzione il 16 giugno 1932 (completamente rifatto nel 1966), era composto da 20 pozzi della portata base di 700 litri al secondo, dotati di tre elettropompe sommerse che attingevano acqua alla falda sotterranea. La falda sotterranea si trovava a circa 27 metri di profondità sotto il piano di campagna. Le acque venivano immesse in una vasca di accumulo e di decantazione della sabbia della capacità di 4.475 metri cubi. Attualmente la centrale funziona con due soli gruppi con una portata di 700 litri al secondo, pari a 2.500 metri cubi all’ora, per dodici ore al giorno che è il tempo di svuotamento della vasca. Un terzo gruppo viene mantenuto di riserva. La Centrale “Gorla” veniva utilizzata per rispondere alle richieste di base e non veniva fermata neppure durante la notte. La sua zona d’influenza era quella di viale Monza e via Palmanova. Con le recenti modifiche alla rete di distribuzione, la centrale di Gorla contribuisce oggi anche al rifornimento della zona nord in aiuto alle Centrali “Testi” e “Suzzani”.

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Informazioni, rielaborazioni, testi… tratti da:

- Cesare Cantù, Grande Illustrazione del Lombardo Veneto. Milano, 1857.
- “Memorie stese dal parroco locale e pubblicate nella faustissima benedizione e inaugurazione della nuova chiesa parrocchiale”. Milano, Sac. Davide Sesia. Tipografia della Casa Editrice “Osservatore Cattolico”, Milano, 1886.
- Testimonianze di: Metti Erminio, Melzi Ambrogio, Gino & Michele.
- Otto Cima, Nel Centenario della Ditta Lombardi e Macchi, Milano, 1823 -1923, Tipografia Pizzi E Pizio. Nel 1899

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Schede

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I lavandai del “Cantun Frecc” I sabbioni della Darsena di Greco

Il percorso della catena. Via Tofane. Cobbia di barconi

Le sciostre della Fossa interna dei navigli milanesi Stabilimento Macchi Via Jaurès. Foto di Mario Ingrosso. I muri della tintoria Weiss
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Via Jaurès. Tintoria Weiss Via Melchiorre Gioia. Naviglio Via Melchiorre Gioia. Naviglio. Breda Via Melchiorre Gioia. Naviglio. I muri della Breda Via Palestrina. Stabilimento Macchi Via Tofane. Barconi

 

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