Ai privati veniva concesso d’estrarre dalle bocche once d’acqua per scopi irrigui, ma anche per la forza motrice dei mulini. L’acqua era una preziosissima fonte d’introiti camerali, disciplinata da precise disposizioni. Numerosi documenti attestano l’esistenza di veri e propri contratti. Le concessioni erano ereditarie per cui i discendenti potevano fruirne pur non avendo acquisito nessun merito al riguardo. Anche i Monasteri beneficiavano di tali consuetudini.
Le rogge che interessano Gorla ed aree limitrofe originano quasi tutte dal naviglio; a partire da est: la Roggia Scagna (o Dal Verme), la Roggia Giulina e Dardanona (o Beolca), la Roggia delle Monache della Vettabbia, la Roggia Visconti o Piccapietra, la Bocca del Monastero di Casoretto (gravitante nel territorio di Crescenzago).
La misura dell’erogazione veniva effettuata mediante l’oncia magistrale milanese: si trattava di una misura di portata usata nel Ducato di Milano dal 1400 al 1800 circa; analoghe misure erano quelle dell’oncia lodigiana e di quella Cremonese. La misura dell’acqua fu definita dall’ingegnere Giacomo Soldati nel 1574 come il quantitativo di acqua estratto da un apposito manufatto (bocca) costruito secondo misure precise (larghezza e altezza della bocca, battente di liquido, ecc.) ai fini della determinazione della somma da pagare. L’oncia magistrale milanese valeva circa 36-40 litri al secondo. Per dare un’idea pratica, tutte le rogge del Martesana avevano una portata stimata fra le 2, 3 once per le più piccole e 10,12 per quelle più grandi. In seguito la costruzione e la manutenzione delle rogge e dei cavi fu disciplinata dalla Legge 20 maggio 1806 che impegnava gli utenti in ragione e in proporzione del rispettivo godimento. Spesso gli utenti si riunivano in consorzi.
A Gorla le acque originavano quasi tutte dal Naviglio Martesana. Da un elenco dettagliato delle bocche: in sponda sinistra, a circa 78 metri dal Ponte di Crescenzago, le Bocche Giulina e Dardanona (in carico a Luigi Perego). Queste due bocche si riunivano subito a valle delle prese e costituivano la Roggia Dardanona0, che per un lungo tratto percorreva la Via Padova. Dopo circa 438 metri, vi era il Bocchello delle Monache della Vecchiabbia (poi detta Vettabbia), in carico a Antonio Meli. Le monache avevano un Monastero in Corte Regina, con terreni irrigati dalla roggia. A 464,21 metri la Bocca Visconti presso la Cascina Piccapietra, in carico alla Congregazione di Carità (un guado di 3 metri serviva la lavanderia della Fabbriceria della Chiesa Parrocchiale, proprietaria per altri 396,5 metri del tratto di canale). A metri 64,70 la tombinatura sotto il naviglio della Roggia Scagna (in carico al Dal Verme); alla distanza di 549 metri, la Bocca Taverna, per 10 once magistrali continue di acqua (in carico al Taverna); a 379 metri dalla Bocca Taverna fino al guado davanti all’Osteria di Gorla, l’alzaia era curata dal proprietario dell’Osteria, Cappelletti Alessandro.
L’uso dell’acqua comportava una grossa opera di manutenzione che pure veniva sbrigata con solerzia e competenza. Vi provvedevano i campari ovvero i custodi delle acque con l’emissione di “Grida, editti, commesse”. Spesso le liti venivano risolte dai magistrati delle acque cui competeva la giurisdizione delle acque e, quindi, la risoluzione delle varie controversie che si accendevano per i più svariati motivi. L’azione e la perizia erano esercitate come un vero e proprio mestiere. Non si sa quando venne istituita la carica di Custode delle acque; in alcuni documenti del Quattrocento si faceva spesso riferimento a dei Campari che risiedevano nei borghi adiacenti ai corsi d’acqua e ai quali era affidata la sorveglianza di alcune tratte di canale. Nell´Ottocento si ritrovano indicazioni relative ai Custodi delle acque cui spettava l’esercizio anche di poteri disciplinari, regolamentari e di polizia. Le loro funzioni erano quelle di vigilare sullo stato delle sponde, segnalare periodicamente all´autorità milanese corrosioni e scavamenti.
Nel 1859 fu la volta di Marco Finzi che richiese il permesso di “poter ornare il suddetto arco del muro di cinta di una ferriata a larghissimi fori onde impedire l’accesso a chicchessia” perché “nella parte di detto muro di cinta dove entra la medesima roggia Acqualunga sotto appropriato arco si verifica l’abuso per parte di male intenzionati che introduconsi disotto all’arco stesso per l’alveo della roggia nel giardino degli esponenti, menando guasti al medesimo”. Si trattava di dispute minori che ponevano, però, l’accento sulla necessità e urgenza d’intervenire anche diversamente per rendere più sicure le sponde e l’utilizzo delle opere idrauliche da parte dei legittimi proprietari. Sempre in quel di Gorla una certa Contessa Laura Gropallo Pertusati pretese nel 1831 di prelevare nella stagione estiva (ogni domenica) acqua “per once 5 ½” dalla Bocca del Naviglio Martesana, diritto acquisito nel 1780. Analogo diritto di acqua continua venne vantato nel 1836 dal Sig. Pirovano per “once 9” contro una vendita di “once 3” effettuato dallo stesso nel 1729. Nella nota n. 822 dell’1.02.1836 l’ufficio fiscale concesse a Secco Comneno l’uso dell’acqua presso il Ponte di Gorla “per poca quantità” (diritto acquisito nel 1778).
Il Custode misurava tre volte al giorno (mattino, mezzogiorno e sera) il livello dell´acqua in un apposito idrometro fisso immerso nel canale; ogni quindici giorni inviava a Milano lo stato del pelo dell´acqua; era una rilevazione indispensabile che assicurava un equilibrato utilizzo dell´acqua per la navigazione e l´irrigazione; il compito richiedeva, in chi lo adottava, chiare conoscenze sul moto delle acque e tanta esperienza acquisita sul campo. Le riparazioni a regola d´arte venivano, invece, effettuate durante le due asciutte, primaverile e autunnale. Qualche settimana prima di togliere l´acqua, giungevano al custode le intimazioni sulle opere da eseguire per i frontisti e per le comunità, che egli notificava personalmente. Le opere, invece, a carico dello Stato venivano eseguite dall´Appaltatore dei Navigli. Dall´autorità centrale di Milano giungevano anche le disposizioni sulla conservazione, la manutenzione delle sponde, il taglio dell’erba palustre che intralciava sia la navigazione che l´irrigazione.
Molto spesso le ruote idrauliche di mulini e filatoi e per l’irrigazione delle ortaglie delle ripe costituivano un grosso problema sia per il possessore delle ruote idrauliche che per i naviganti. Anche Gorla aveva i suoi ruotoni: a partire dalla metà dell’Ottocento la ruota Barioli, in via Finzi (ex Villa Resta), dava energia meccanica a una filatura di seta; la ruota della ex Cascina Quadri, di cui si vede ancora l’impronta della sede a filo d’acqua sul muro, forniva energia meccanica alla fabbrica di cioccolato. Era il 1865 quando iniziò la lavorazione della cioccolata; l’odore e il profumo di cioccolata inondavano l’aria deliziando i passanti e i conducenti dei cavalli e delle barche.
Più oltre la realizzazione sul Martesana di un ruotone idraulico Ruota Barioli (oggi completamente scomparso) animò per un certo periodo di tempo un filatoio di seta. Giovanni Barioli, unico proprietario di tutto il Cantun Frecc, lo destinò a più usi: fabbricato per azienda rurale, casa di villeggiatura, filanda di seta. Nel 1875 la ditta Mazzucchelli Maria maritata Brambilla vi impiantò una cardatura di cascami di seta. Sul lato occidentale del complesso alla cardatura di cascami seguirono altri opifici e attività commerciali: tra essi il Salumificio Peck, un'agenzia di autonoleggio ed una lavanderia (Lavanderia Pirovano).
Il Marchese Giuseppe Parravicini si lamentava per l’imbrattamento delle acque da parte della tintoria Weiss che era accusata di scaricare materie colorate del proprio stabilimento con grave “pregiudizio della irrigazione” (Reclamo del 19.06.1874). Anche il Sig. Redaelli del Filatoio Redaelli (impiantato nel 1819) fece richiesta nel 1837 “di “scaricare in Martesana” e nel 1856 di “poter passare sotto il fondo del Naviglio Martesana con un tubo onde comunicare il gas illuminante già da tempo attivato nella loro fabbrica allo stabilimento di filatura seta in facciata sulla sponda opposta del Sig. Barioli”. Massimiliano Savini, il 26 Aprile 1850, chiese “un centesimo di oncia magistrale di acqua del Naviglio a Gorla per una filanda di seta con contratto rogito del 9 settembre 1850” (Bocca Savini Gorla). Da parte sua il Sig. Colombo chiese di “rialzare un muro che divide l’alveo del Naviglio Martesana” dal ruotone idraulico “che in quella posizione trovasi alla Ripa destra onde impedire che esso rodone venga danneggiato”. Il rodone in questione, pescando acqua per l’irrigazione del giardino, poteva arrecare danno secondo il Colombo “per la malevolenza di condottieri di barche, come succede ora interrompendo l’irrigazione”. Come si evince da tutte queste argomentazioni una vita di azioni, fatti e questioni lievitava intorno all’uso dell’acqua restituendoci il senso di un’attenzione e di una cura delle proprie cose che se, alle volte, erano dettate da motivi contingenti e interessi personali, in realtà ponevano questioni ambientali rilevanti.
Fra le numerose incombenze del Custode c'era anche quella di controllare lo stato dei ponti, spesso danneggiati dalle barche che li urtavano per imperizia dei conducenti o per il vento troppo forte. I ponti rappresentavano un ostacolo indiretto alla navigazione perché il pilone centrale, dividendo la corrente, rendeva più difficoltosa la risalita controcorrente dei barconi, sotto gli archi; a questo riguardo i ponti venivano muniti in diversi punti di un grosso anello e di una carrucola entro cui si faceva scorrere la corda di attiraglio per agevolare la risalita dei barconi. Talvolta s’interveniva anche sul pilone centrale con opere di sotto-murazione e palificazione che avevano la funzione di taglia-acqua in modo da attenuare la resistenza della corrente; gli archi dei ponti riducevano ulteriormente l´ondulazione in prossimità del ponte.
La Roggia Acqualunga veniva chiamata anche il “Canale di Città” perché tutte le sue acque venivano utilizzate in Milano. In realtà l’Acqualunga non era una roggia (non era derivata, cioè, dal Naviglio), ma bensì un fontanile con tre capi-fonte: il primo a Precotto, esattamente all’altezza dei numeri civici 16-18 di Via Erodono; aveva tre “occhi” (o sorgenti); il secondo a Gorla nel terreno dei Finzi; il terzo a Turro, non lontano dalla Cascina del Governo Provvisorio. E’ ben vero che alcuni autori l’hanno chiamata impropriamente “roggia”; altri Seveso o canale di città, però si trattava pur sempre di un fontanile. E’ pressochè certo che un suo ramo alimentasse anche le Terme Erculee, che si trovavano fra Corso Vittorio Emanuele e Corso Europa. Secondo alcuni la roggia percorreva in cunicolo tutto il Corso Vittorio Emanuele alimentando all’altezza dei portici settentrionali, i due Battisteri di S. Stefano e San Giovanni alle fonti. A conferma di questo percorso è stato scoperto, in piazza San Babila, durante gli scavi per la linea 1 della metropolitana milanese, un ponte d’epoca romana che doveva servire a recuperare un corso d'acqua proveniente da Corso Venezia. Anche sotto il Corso Vittorio Emanuele sono state trovate tracce di un condotto. Verso la fine del XVIII secolo la roggia fu immessa nella Fossa Interna dei Navigli Milanesi all’altezza di Palazzo Serbelloni dopo aver percorso Corso Venezia a cielo aperto. L’Acqualunga era nota e utilizzata già in epoca romana poiché, oltre ad alimentare le Terme Erculee, assieme al Seveso e al Nirone, alimentava il fossato difensivo della città.
I fontanili erano noti sin dai tempi dei Romani, ma il loro sfruttamento raggiunse l’apice solo nel medioevo grazie all’opera dei Monaci Certosini che intuirono l’importanza del loro uso in agricoltura. La loro formazione era dovuta alla conformazione del sottosuolo della Pianura Padana che presentava a nord e nord-ovest terreni permeabili costituiti da massi e ciotoli di dimensioni decrescenti e sabbia; a sud e sud-est, da strati di argille impermeabili, frutto di stratificazioni successive. Il contatto fra i due tipi di terreno dava origine alla riemersione della falda acquifera e, di conseguenza, alla formazione di fontanili. La buona pratica dei fontanili s’imbatte ora nella forte antropizzazione del territorio e nello sfruttamento intensivo dell’acqua da parte delle industrie che ha portato alla quasi estinzione dei fontanili nell’area. Anche le rogge sono state quasi tutte prosciugate essendo venuta meno la loro funzione irrigua. Gli “Statuta Mediolanensis“ del 1396 stabilivano che le teste dei fontanili dovessero essere scavate solo a distanza minima di 20,8 metri dai corsi d’acqua (2 gittate da 10,4 mt ). Nel 1502 tale distanza fu raddoppiata.
Tutti i fontanili della Zona sono asciutti da tempo a seguito dell’abbassamento della falda acquifera verificatosi nel dopoguerra per effetto dei prelievi delle industrie e l’opera diffusa della cementificazione. Non compaiono più da nessuna parte: unica eccezione l’Acqualunga, tutta combinata. Dalle vecchie mappe e documenti si ricordano: i fontanili di Precotto (Acqualunga, Fornasette), di Turro (fontanella di Turro e fontanone Bignami), quello di Greco (Settala e Refreddo), di Loreto (Bianchette e Fontana di Loreto), di Crescenzago (Tuono, dell'Asse ed altri).
Fra questi va forse menzionato quello che viene chiamato impropriamente la “Fontanella di Turro”, noto anche come Fontanile dell’Asse; si tratta di un fontanile con la sorgente su terreni della proprietà Ingegnoli a Turro, all’angolo fra Via Padova e Via Mosso. Il fontanile, che confluiva dopo il 1850 nel Cavo Taverna, fu prosciugato e coperto nel 1913 in seguito ad una convenzione fra il Comune e la proprietà Ingegnoli; al suo posto fu installata una “Fontanella” in ricordo di quella originaria.
Molti proprietari di terreni chiesero di poter imbrigliare le teste dei fontanili con tini per ricavare maggiore quantità d’acqua per muovere i propri mulini. Si accesero a questo proposito numerose dispute cui parteciparono anche gli stessi abitanti in nome di vecchie consuetudini e diritti di proprietà e d’uso. Spesso si chiedevano rialzamenti di muri divisori oppure la costruzione di vasche (“gore”) perché i “ruotoni” dei propri mulini o filatoi potessero funzionare “assolutamente e perpetuamente“ senza periodi di inattività. Il Sig. Giuseppe Brusati era molto attivo al riguardo. Alle istanze venivano spesso allegati dei disegni che riproducevano schematicamente l’impianto per la necessaria approvazione degli ispettori.
Oltre alle Bocche/Rogge vi era un’altra categoria di piccoli canali, i Cavi idraulici, derivati anch'essi dal Naviglio Martesana. Nell’area di Gorla si originano numerosi Cavi: il Cavo Taverna (o Turrino) e i Cavi della Cassina de’ Pomm (Cavo Brioschi, Cavo 3 Once o S. Corona, Cavo 2 Once o Cavetto di città, Cavo Balsamo, Cavo Melzi).
Fra i Cavi di Gorla il Cavo Taverna merita una menzione particolare; aperto per concessione ai Conti Taverna di Landriano nel 1838 fu uno degli ultimi cavi irrigui a cielo aperto nel territorio di Gorla. Attualmente è gestito dal Consorzio Cavo Taverna che lo ha quasi tutto “tombinato” ovvero chiuso all’esterno, ma per molti anni il Cavo Taverna alimentò in sponda sud del naviglio una piccola vasca (idrometro) a ridosso della Cascina Quadri che fu usata dai Gorlesi come una rudimentale piscina all’aperto da tutti conosciuta come “El bagnin de Gorla”. Ancora oggi il Cavo Taverna irriga i campi delle aziende agricole a sud di Milano e nell’area pavese; fra queste aziende figurano quelle di Landriano, sede di un castello-residenza dei nobili Taverna. Il Cavo, superato quasi completamente tombinato Milano, riemerge nei pressi dell’Abbazia di Chiaravalle.
Un bagno pubblico all’aperto sul Martesana si trovava, invece, presso il Ponte delle Gabelle in zona San Marco; così veniva descritto in una pubblicazione per l’Expo milanese del 1906 (l’anno del traforo del Sempione): “…da quindici anni durante la stagione estiva viene delimitata una tratta del naviglio Martesana tra i bastioni e la circonvallazione con uno steccato di conveniente altezza; si erigono vasti baracconi per spogliatoio e custodia indumenti e così si costituisce in breve tempo e con limitato dispendio, uno stabilimento provvisorio con ampia vasca da nuoto, alimentato da acqua limpida e corrente, dove gli operai accedono numerosissimi con la tenue spesa di centesimi cinque”. Nel 1904 si bagnarono 50.000 persone, 30.000 nel 1905.
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- “Liber consuetudinum Mediolani”, Anni MCCXVI, Ex Bibliotechae Ambrosianae Codice, curante Prof. Francisco Berlan, MDCCCLXVI.
- Carlo Pagnano in “Decretum supra Flumine Abduae”. 7.07.1516. Mediolani 1520. Fondo Acque. Archivo di Stato di Milano.
- Sforza Francesco II - Autografi di Principi secolo XVI. Autografi (24.01.1531). Fondo Acque. Archivio di Stato di Milano.
A. Calderini “Milano Archeologica”, in Storia di Milano Vol. I, Le origini e l’età romana. Milano, 1953.
- Museo patrio di archeologia di Milano (1862 - 1903). 1881 n. 114.
-Giorgio Giulini nel libro “Memorie spettanti alla storia e al governo e alla descrizione della città e campagna di Milano ne' secoli bassi, Milano, 1760.
- Dagli “Statuti delle Strade e delle Acque del Contado di Milano” redatti nel 1346.
-Città con suoj Borghi e Corpi Santi di Milano. 1781. Costituzione della Comunità dei Corpi Santi. Archivio di Stato di Milano.
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- Storia della Società de’ Corpi Santi colla comune di Milano e suo scioglimento, Archivio di Stato di Milano.
- “Proposta di una nuova pianta del personale da parte del l’I.R. delegazione provinciale”, Archivio di Stato di Milano.
- Cesare Cantù, Grande Illustrazione del Lombardo Veneto. Milano, 1857.
- “Memorie stese dal parroco locale e pubblicate nella faustissima benedizione e inaugurazione della nuova chiesa parrocchiale”. Milano, Sac. Davide Sesia. Tipografia della Casa Editrice “Osservatore Cattolico”, Milano, 1886.
- Filippo Turati, da “Il Naviglio”, Strenna del Pio Istituto dei Rachitici di Milano, Ed. Civelli, Milano 1886.
- Gian Pietro Lucini, da “l’Ora Topica” di Carlo Dossi, Cap. IV, Passeggiata sentimentale per la Milano di “l’altrieri”.
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